GLI INIZI
Oramai da molti anni, se qualcuno pronuncia il nome Orler, immediatamente il pensiero va all’arte moderna e alle antiche icone russe, come se tale nome fosse inscindibilmente connesso a quei mondi e ne costituisse quasi un sinonimo. Tutto ciò, però, non è nato improvvisamente dal nulla, come per effetto di una magia o di un miracolo, anche se nelle vicende di questa famiglia talvolta possiamo parlare davvero di coincidenze ‘provvidenziali’. Tutto inizia con i due ‘grandi vecchi’, Davide ed Ermanno, due ‘montanari’ che troveranno la loro ‘anima’ a Venezia (come dirà lo stesso Davide). Davide (il primogenito, nato nel 1931), Cesare, Carolina ed Ermanno erano figli di Giuseppe e di Giulia Schweizer, a loro volta nati alla fine dell’Ottocento in un piccolo paese di montagna nel Trentino, Mezzano di Primiero. Loro nonno era stato un minatore; i loro zii e loro padre, come spesso accadeva in quella ‘povera’ Italia di inizi del Novecento, erano emigrati, gli uni in America, inseguendo vanamente il miraggio di un sogno, loro padre in Germania. Dopo alcuni anni Giuseppe fece ritorno in Trentino e da allora non si mosse più da Mezzano, lavorando nei campi, portando al pascolo gli animali e faticando presso il mulino del paese. Sia Davide che Cesare, durante l’estate, facevano i pastori nelle malghe: una vita grama, che portò Davide, a quattordici anni, a fare lo scalpellino in Val Noana. Ma fu l’incontro con il pittore Riccardo Schweizer che produsse un sodalizio ed un’amicizia fondamentali nella vita di Davide, il quale, alla fine degli Anni Quaranta, si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti a Venezia: un sogno, quello dell’Accademia, che però non si sarebbe mai realizzato appieno. Nel 1949 si arruolò volontario nella Marina Militare, lasciando così Venezia e l’Accademia, cui tanto aveva aspirato, ma continuando a dipingere e, così, creando le basi per quella sua esperienza artistica di primaria importanza.
LA PASSIONE
Nel 1957, lasciata la Marina, Davide tornò a Venezia, diventata in pochi anni un fiorente e stimolante centro artistico, continuandovi a dipingere e aprendo, nel 1962, una bottega di tele per pittori, che porrà in contatto Davide ed Ermanno (allora sul punto di tentar la fortuna come emigrante in Australia) con i grandi artisti che frequentavano allora il capoluogo lagunare. L’ idea, infatti, si era subito dimostrata un successo: in breve tempo il negozio in campo Santa Maria Mater Domini divenne il punto di riferimento per tutti i pittori veneziani. A volte accadeva che molti pittori, non avendo liquidità monetaria, chiedessero una tela nuova in cambio di un loro quadro: cose a volte di poco valore, ma che a volte si riveleranno preziose nel tempo, come quelle di Giuseppe Gambino, di Renato Borsato, di Carlo Hollesch, di Virgilio Guidi o di Felice Carena. Nacquero allora scambi culturali e commerciali con i grandi pittori italiani del tempo, da Guidi a Guttuso, solo per citare alcuni esempi. Uno scambio di idee e di ‘merci’, di arte e di vita che è alla base della loro futura ‘fortuna’. Il 4 novembre 1966, giorno della nota e spaventosa mareggiata che sommerse Venezia, Guido Perocco, allora direttore del Museo d’arte moderna di Cà Pesaro, chiamò proprio Davide ed Ermanno a salvare le opere custodite nei magazzini del pianterreno, da quelle di Gino Rossi a quelle mirabili di Chagall. L’altro elemento fondamentale, come si è detto inizialmente, sarà costituito dall’amore per la raccolta di icone, che condurrà Orler ad avere una delle collezioni più importanti esistenti in Europa Occidentale, di cui è giustamente fiero e della quale si parla più specificamente altrove. Nel 1965 giunse a Venezia una compagnia teatrale del Bolshoi di Mosca per una serie di spettacoli al teatro La Fenice. Uno di quei giovani attori, una sera, dopo uno spettacolo, chiese a Davide se fosse interessato ad un affare: tirò fuori da un panno lacero un’icona. Fu quella, per Orler, una folgorazione e la nascita di un amore, di una passione che durerà tutta la vita e che lo condurrà addirittura a promuovere, con ideale abnegazione e caparbia tenacia (proprio da ‘montanaro’!) la creazione di un museo di icone a Vicenza.
LA PROFESSIONE
Nel 1967 Davide sposò a Venezia, originaria della splendida e tenace terra, la Sardegna, Carmela, dalla quale ebbe ben otto figli (uno in più rispetto ad Ermanno, che sposerà la sorella di Carmela), divisi quasi ‘salomonicamente’ in quattro maschi e quattro femmine, anch’essi cresciuti all’ombra del padre ed appassionati tutti di queste opere d’arte, oggi preziosi continuatori ed artefici della loro diffusione. Il vero motivo, infatti, che induce ancora la famiglia Orler a promuovere la divulgazione di questa stupenda raccolta è la volontà ferrea di facilitarne la comprensione, tenendo conto che questa coincide con il motivo per il quale esse sono nate: proporsi alla contemplazione silenziosa dello ‘spettatore’, offrendo a ciascuno la possibilità di ottenere riflessi di quella realtà profonda che sfugge alla superficialità delle nostre convulse giornate. I figli, si diceva, tutti nati e cresciuti nel mondo dell’arte e nel febbricitante ambiente del suo commercio, tra i quadri, i tappeti e le icone della loro originaria sede di Favaro Veneto o delle gallerie di San Martino di Castrozza e di Cortina d’Ampezzo: innanzi tutto Gabriele, il primogenito, il più pacato e riflessivo, gentile ma deciso, il nuovo ‘motore’ della famiglia, così innamorato anch’egli delle ‘sante’ icone russe e deciso a promuoverne sempre più la conoscenza con importanti mostre, conferenze e prestigiosi cataloghi, ma anche con i moderni sistemi di comunicazione come la televisione, muovendosi nel non sempre facile e limpido mondo del mercato dell’antiquariato con la forza ‘sconcertante’ della ‘pulizia’ e di un fortissimo rigore deontologico e morale. Poi Michele, il più taciturno, indefesso lavoratore, come tutti i fratelli, conciliante e sensibile, grande conoscitore del tappeto antico. Stefano, invece, è il razionale manager, deciso ed intraprendente, che si occupa di arte moderna contemporanea con indubbia professionalità, la stessa che pone nell’organizzazione di mostre e di eventi, supportata da tenacia e da schietta e pragmatica operosità. Infine Andrea, il più giovane ed esuberante, sognatore a volte, ma che pone nel giovanile entusiasmo tutto se stesso, con una grande volontà di sperimentare e di andare avanti. Già, andare avanti, sempre: come la creazione di questa ‘sconfinata’ ed ‘ambiziosa’ sede di Marcon che il loro “Spazioeventi” testimonia. Una grande, genuina ed ideale scommessa, come sono state genuine, ideali e grandi molte scommesse che Davide ha fatto nella sua non sempre facile vita e che hanno portato la famiglia di emigranti Orler dalle malghe del Trentino ai palcoscenici internazionali dell‘arte.